LA BONIFICA

Consorzio di Bonifica di Metaponto e della Media Valle del Bradano. Iscrizione in pietra della sede di Matera

Con il termine bonifica si definisce il complesso delle opere necessarie per rendere un territorio suscettibile di utilizzazione agricola o per aumentarne significativamente la produttività.
Può comprendere realizzazioni anche molto diverse, a seconda del problema (eccesso o carenza idrica, dissesto idrogeologico, ecc.) che dev'essere affrontato nel perseguimento delle finalità di valorizzazione agricola. Tuttavia, secondo una concezione affermatasi in epoca moderna, la Bonifica non può essere limitata all'eliminazione delle principali cause che ostacolano o limitano l'attività agricola, ma tale rimozione dev'essere accompagnata o seguita da tutte quelle iniziative che consentono un miglioramento della situazione economico-produttiva e, più in generale, della qualità della vita nell'intera zona: la Bonifica così concepita assume la specifica denominazione di integrale.

Nella penisola italica si segnalano gli interventi operati dagli Etruschi, nella valle Padana e in Maremma, e quelli promossi dai coloni della Magna Grecia, sulla costa tirrenica (Velia, Paestum), sulla costa ionica (Metaponto, Eraclea, Siri, Sibari, Crotone, Taranto) ed in Sicilia (Siracusa).
Con la conquista romana, alle opere di Bonifica straordinaria, come il prosciugamento della palude di Terracina ad opera del censore Appio Claudio (sec. IV a.C.) o il risanamento della Piana del Fucino progettato da Giulio Cesare e completato all'epoca dell'imperatore Claudio, si affianca una politica di Bonifica permanente, rappresentata da quel sistema di divisione e distribuzione fondiaria che va sotto il nome di centuriazione e che consentiva una regolare coltivazione delle terre tramite un capillare reticolo di canali e fossati, garanzia di un efficace e costante drenaggio dei suoli.
Con la crisi economica iniziata nel sec. IV e in seguito accentuata dai problemi provocati dalle invasioni barbariche, si ebbe un progressivo abbandono delle campagne, per cui il sistema centuriale si sfaldò, lasciando il posto al dilagare di boschi e paludi.
Nei primi secoli del Medioevo larghe zone dell'Europa già romanizzata tornarono quindi ad inselvatichirsi e i nuovi popoli germanici non si posero, inizialmente, il problema di ricondurre a coltura i territori occupati, perché la loro economia era basata in prevalenza sulla caccia e sull'allevamento brado.
A partire dal sec. VIII, con lo sviluppo della grande proprietà monastica e vescovile, ha inizio la prima fase della colonizzazione medievale, basata sull'assegnazione di terre ad affittuari coltivatori, che si impegnavano ad opere di dissodamento delle terre avute in concessione. In questo processo di riduzione a coltura delle aree incolte si distinsero soprattutto i grandi monasteri benedettini.
In seguito, con la crescita demografica dei secc. XI-XIII, si ebbe un'ulteriore accentuazione degli interventi di Bonifica, cui prestarono attenzione prima i comuni e poi le signorie (Estensi, Medici, Bentivoglio, Gonzaga, Santa Sede).
Nelle città italiane del Basso Medioevo il problema della regolamentazione delle acque fu molto sentito, tant'è che vennero istituite cariche specificatamente delegate al controllo e alla salvaguardia dei corsi e degli specchi d'acqua, del normale deflusso di canali, scoli e fossati, della manutenzione degli argini: così a Venezia abbiamo gli officiales supra canales, gli officiales paludum e poi i provveditori sopra li luoghi inculti; a Verona, il collegio per il fiume Adige; a Ferrara, la carica del cavanelano.
Nel tardo Medioevo e nella prima età moderna questo orientamento va' modificandosi e si assiste perfino alla riconversione delle terre coltivate in boschi, prati e paludi.
Dalla metà del Cinquecento si ha però un ritorno agli interventi di bonifica con il risanamento del Polesine, la bonifica della val di Chiana e della Maremma grossetana e l'avvio del risanamento delle paludi Pontine.
Nell'Italia meridionale, dopo i dissodamenti promossi nel Medioevo dai monasteri benedettini, bisogna attendere l'epoca dei vicerè spagnoli per vedere attuate opere di bonifica di un qualche rilievo. Questo tipo di politica venne poi proseguita sotto i Borboni, con opere di risanamento non solo nel territorio di Napoli, ma anche nella zona del Vallo di Diano, nella piana del Fucino e altrove.
II Settecento si può considerare un secolo dominato dal mito della bonifica sia in ambito operativo che sul piano speculativo. Le dottrine fisiocratiche si imposero con tale forza da portare ad interventi radicali quale il taglio della grande macchia di Viareggio, considerata insalubre.
Con l'Ottocento si avverte l'assoluta urgenza di disciplinare i sempre più numerosi interventi di risanamento, per cui si assistette alla proliferazione di leggi e decreti in materia: in Piemonte con le Regie Patenti del 17-V-1817; nello Stato della Chiesa col motu proprio del 23-X-1817; nel granducato di Toscana col motu proprio del 27-XI-1828, riguardante la bonifica della Maremma grossetana; nel Regno di Napoli col R.D. del 13-VIII-1839, per la bonifica del Volturno, e poi con la legge dell'll-V-1855, che poneva le basi di una pianificazione degli interventi di bonifica nell'Italia meridionale.
All'indomani dell'Unità d'Italia, vennero promulgate varie leggi riguardanti il risanamento e la tutela dei beni ambientali, ma si trattava prevalentemente di provvedimenti di carattere settoriale, che riguardavano ambiti d'intervento ben determinati: le acque pubbliche, nel 1865; le irrigazioni, nel 1873, il patrimonio forestale, nel 1877; le opere di sistemazione valliva e montana dei torrenti, nel 1893; la restaurazione della montagna, nel 1911.
La prima legge veramente organica in materia di bonifica si deve quindi considerare quella del 1882. Ideata dal grande idraulico Alfredo Baccarini (1826-1890), essa partiva da una classificazione degli interventi basata sull'interesse economico ed igienico dei singoli risanamenti.
Nonostante questa legge determinasse l'urgenza dei piani di bonifica in base a valutazioni di carattere oggettivo, la sua effettiva capacità di intervento finì per essere notevolmente limitata dalle già citate leggi settoriali e, sul piano operativo, il Meridione ne uscì notevolmente svantaggiato (dal 1882 al 1924, poco piu di 4.000 ha bonificati contro gli oltre 300.000 del Nord).
Nell'immediato primo dopoguerra si sentì quindi la necessità di un progetto ancora più avanzato, che non si limitasse alla pura e semplice opera di risanamento, ma che intervenisse anche nelle fasi successive della tutela e della messa a coltura delle terre bonificate. Con il T. U. del 30-XII-1923 si procedette, quindi, a raccogliere e riordinare tutte le disposizioni emanate precedentemente in materia di bonifica idraulica, sostenendo il principio del rapporto tra tutela delle aree vallive e sistemazione montana e distinguendo due tipi di bonifica:
- quella che presentava vantaggi igienici ed economici di prevalente interesse sociale doveva essere condotta dallo Stato, direttamente o sulla base di concessioni ai consorzi di bonifica,
- mentre tutti gli altri tipi di intervento erano invece demandati ai proprietari, cui era però anche attribuito l'obbligo di mantenere bonificati i loro poderi. Contemporaneamente, con il D.L. del 30-XII-1923, si provvedeva alla riforma legislativa in materia di boschi e terreni montani. In questo processo di ampliamento progressivo del concetto di bonifica, intesa sempre più come tutela permanente delle terre ridotte a coltura piuttosto che come semplice opera di risanamento delle stesse, si giunse al decreto del 24-XII-1928, che introdusse la cosiddetta bonifica integrale, e al decreto n.215 del 13-II-1933, che abrogò quasi totalmente la normativa precedente in materia.
In seguito a questi decreti ed al notevole impegno finanziario che ne derivò, molte furono le opere di bonifica intraprese in Italia nel periodo fascista (la piu nota di queste è la bonifica dell'Agro Pontino).
In molte zone del Meridione, però, le iniziative di bonifica spesso si scontrarono con l'immobilismo di molti proprietari terrieri, specialmente latifondisti e, talvolta, vennero anche condotte, a livello centrale e/o periferico, con scarsa volontà politica. A proposito delle finalità che si perseguirono in quegli anni con la bonifica, si deve sottolineare che, per numerose realizzazioni, le considerazioni di ordine puramente economico erano, spesso, associate e, talvolta, subordinate ad altre di natura sanitaria e sociale (del resto contemplate dallo stesso R.D. n. 215).
Infatti, era ancora assai grave il problema della diffusione della malaria nelle zone paludose e malsane, ed essenziale era considerata la lotta a questa malattia operata con il risanamento idraulico delle aree che favorivano la vita e la proliferazione del suo ospite invertebrato.
Altrettanto importante era giudicata, dalle autorità dell'epoca, la riduzione delle tensioni sociali derivate dalla disoccupazione di larghe fasce di manodopera bracciantile: in quest'ottica la bonifica poteva essere considerata un intervento che creava notevoli possibilita occupazionali durante e dopo la sua realizzazione.
Dopo la seconda guerra mondiale l'attività di bonifica, che aveva subito un'interruzione quasi totale durante il conflitto, riprese: si utilizzarono, per ricostruzioni e nuove realizzazioni, i finanziamenti del cosiddetto "piano Marshall", costituendosi anche specifici organismi per lo sviluppo irriguo e la valorizzazione di alcune aree del Sud Italia.
Negli anni '50 alcune leggi stimolarono notevolmente l'azione bonificatoria in tutto il paese: nell'Italia meridionale in particolare si moltiplicarono gli interventi, specialmente di bonifica irrigua, ad opera della Cassa per il Mezzogiorno (istituita con la L. 10-VIII-1950, n.646).
Con i due "Piani verdi", che caratterizzarono la politica agricola italiana nel periodo 1961-71, furono finanziati, in particolare, programmi in cui la trasformazione irrigua era opera fondamentale o complementare di bonifica, e si prevedeva il completamento o il ripristino di bonifiche già intraprese. Inoltre, in queste normative, la bonifica fu considerata in un'ottica più spiccatamente economico-produttivistica e la programmazione nel settore fu attuata tenendo conto di questo orientamento.

CENNI TECNICI.

Molte sono le realizzazioni che possono essere classificate come opere di bonifica: in Italia le più diffuse sono quelle di bonifica idraulica, di irrigazione (o di bonifica irrigua) e di bonifica collinare e montana.

Bonifica idraulica.
Si attua in quelle aree dove l'eccesso idrico è caratteristica preminente del territorio, e si manifesta, talvolta, anche con gravi fenomeni quali il paludismo o le ripetute inondazioni.
Le sue finalità fondamentali sono: l'eliminazione di questi fenomeni e l'ottenimento di un dislivello fra il piano di campagna e la falda idrica sotterranea tale da consentire alle colture, che si intendono impiantare, di vegetare e produrre. Questo scopo può essere raggiunto distribuendo, con particolari tecniche, notevoli quantità di materiale terroso sui terreni da bonificare al fine di elevarne la quota (bonifica per colmata), o allontanando dall'area le acque in eccesso (bonifica per prosciugamento).
La bonifica per colmata è ulteriormente suddivisa, in base alle modalita di realizzazione, in artificiale e naturale.
La bonifica per colmata artificiale prevede che la massa terrosa necessaria provenga da altre zone e sia trasportata in loco e distribuita con appositi mezzi meccanici. La colmata artificiale risulta relativamente rapida ed efficace in aree in cui siano impossibili o non economici altri tipi di bonifica, ma è inadatta per ampie superfici.
Con la bonifica per colmata naturale, invece, il rinterro avviene per decantazione naturale di acque ricche di materiale terroso, derivate da un corso d'acqua, in genere durante i suoi periodi di piena. A tale fine la zona da bonificare viene arginata e, spesso, per ragioni di opportunità tecnica, ulteriormente ripartita in aree più piccole dette "casse" di colmata. Questo processo avviene in tempi molto lunghi (anche piu decenni) e deve essere preceduto da un'accurata analisi del regime del fiume che si utilizza e delle caratteristiche delle sue acque; è adatto per bonificare anche aree di parecchie migliala di ettari.
La bonifica per prosciugamento è la più diffusa forma di bonifica nel nostro paese. Secondo questo metodo, nell'intera area da bonificare è realizzata una rete di canali, di dimensioni e di ordine crescenti, che inizia dai capofossi (in cui si scarica l'acqua proveniente dalle scoline o dai dreni di ciascun appezzamento) e termina con il collettore che porta le acque raccolte ad un "recipiente" (corso d'acqua, lago o mare) esterno al comprensorio.
Quando la quota dell'area comprensoriale è superiore al livello del recipiente anche durante i periodi di piena di questo (terre alte), il deflusso avviene per scolo naturale continuo, ovvero per gravità dovuta alla "cadente" (dislivello fra le superfici del collettore e del recipiente).
Se, invece, l'altitudine dell'area è intermedia fra l'altezza del recipiente nei periodi di piena e in quelli di magra (terre medie), lo sgrondo può avvenire per scolo naturale solo nei periodi in cui esiste una cadente sufficiente; quando questa non esiste le acque raccolte sono accumulate in un'apposita zona detta "vasca di espansione" (scolo naturale intermittente) e portate al recipiente per mezzo di un impianto idrovoro.
Infine, nei terreni che hanno una quota sempre inferiore a quella del recipiente (terre basse), il deflusso avviene esclusivamente per sollevamento delle acque con appositi impianti idrovori (scolo meccanico).
Ogni bonifica per prosciugamento è caratterizzata da un determinato "franco di bonifica" (differenza di altezza fra la superficie del terreno e quella dell'acqua nei capofossi). Tale grandezza, di solito, assume un valore molto vicino a quello del "franco di vegetazione" (dislivello fra piano di campagna e falda sotterranea ottimale per la specie coltivata) nei periodi normali; scende a livelli inferiori (che, però, devono essere sempre tollerabili per le piante) nei periodi di piena.
La determinazione di questi valori è una fase essenziale della progettazione della bonifica, ed è, in genere, il risultato di un compromesso fra necessità agronomiche e necessità tecnico-economiche. La progettazione e la realizzazione di una bonifica per prosciugamento, come del resto quella di qualsiasi bonifica, comporta anche una completa indagine sulle caratteristiche del territorio da bonificare. E' importante, inoltre, stabilire la quantità di acqua di cui si deve assicurare il deflusso, e la frequenza e le caratteristiche delle piene che si verificano nella zona, per poter dimensionare adeguatamente i canali di scolo.
Affinché con le opere di bonifica idraulica si ottenga effettivamente il miglioramento della situazione economico-produttiva che si intendeva raggiungere, ad esse devono associarsi o seguire opportune attività di sistemazione dei terreni, l'approntamento di reti e di impianti irrigui (ove necessari) e di altre infrastrutture (reti elettriche, acquedotti, strade, ecc.).
La bonifica idraulica interessa, in gran parte, le zone di pianura (si calcola che ca. 3.800.000 ha di terreno pianeggiante in Italia siano stati oggetto di interventi di bonifica idraulica). Per quanto riguarda i moderni orientamenti in questo settore, si può affermare che da diversi anni l'ottenimento di nuovi terreni da sottoporre a coltivazione o di aree piu intensamente coltivabili, ed il risanamento di zone paludose e malariche hanno perso gran parte dell'importanza che avevano in periodi precedenti.
Attualmente, infatti, poche sono in Italia le aree che potrebbero essere sottoposte a bonifica idraulica ex novo, ed è preferibile, per ragioni di ordine ecologico-naturalistico, che molte di esse rimangano inalterate. Hanno, invece, assunto un'importanza prioritaria la manutenzione e l'ammodernamento delle bonifiche già attuate. Infatti, molte di esse sono caratterizzate dalla carenza di un'adeguata manutenzione degli impianti e delle canalizzazioni, attribuibile, in gran parte, all'insufficienza dei fondi disponibili per far fronte a queste necessità.
Ad aggravare tale situazione si aggiungono le nuove esigenze ed i nuovi problemi dell'agricoltura e dell'assetto territoriale italiani. Infatti, a seguito delle variazioni delle tecniche e degli indirizzi colturali, sono spesso necessari franchi di bonifica superiori a quelli ritenuti sufficienti all'atto della realizzazione di molte bonifiche, ed è indispensabile la revisione di buona parte dei tracciati dei canali di scolo.
Inoltre, si deve far fronte a gravi problemi di natura idrogeologica quali: la subsidenza dei terreni (verificatasi in seguito alla bonifica e allo sfruttamento generalizzato delle falde idriche e dei giacimenti di metano), la diminuzione dei tempi di corrivazione in molti bacini e l'incremento della quantità di materiale solido trasportato dai corsi d'acqua.
L'azione nel settore della bonifica deve tenere conto di questi problemi così come degli alti costi di gestione di molti consorzi che, spesso, sono il sintomo dell'esigenza di attuare modifiche tecnico-organizzative nell'ambito di queste strutture (sostituire impianti idrovori ormai obsoleti, ristrutturare la rete dei canali e, talvolta, ampliare la superficie del consorzio o fondere in un'unica struttura piu consorzi).

Bonifica irrigua.
Per quanto riguarda le opere di irrigazione si ricorda che esse possono essere complementari a quelle di bonifica idraulica, ma, dove la carenza idrica è l'ostacolo principale allo sviluppo produttivo del territorio, le realizzazioni nel settore dell'irrigazione assumono la connotazione di opere fondamentali di bonifica.

Bonifica collinare e montana.
A differenza dei due casi precedenti, non comprende specifiche realizzazioni, ma piuttosto tutte le opere necessarie, a seconda delle circostanze, per difendere i territori collinari e montani ed eliminare le cause che ne limitano fortemente la produttività.
Molte di tali opere sono, spesso, necessarie per salvaguardare le bonifiche idrauliche di pianura dalla degradazione che può loro derivare soprattutto dall'aumento del trasporto solido dei corsi d'acqua e dalla diminuzione dei tempi di corrivazione caratteristici dei bacini (si tratta del cosiddetto "collegamento del piano con il monte" che rappresenta uno dei principi fondamentali della bonifica moderna).
Fra le opere di bonifica collinare e montana possono essere comprese anche quelle di bonifica idraulica, se necessarie, ma soprattutto realizzazioni finalizzate ad eliminare le cause e gli effetti dell'alterazione idrogeologica (sistemazione dei corsi d'acqua, sistemazione di frane e smottamenti, rimboschimenti, sistemazioni idraulico-forestali), ed a valorizzare il territorio (miglioramento dei pascoli, introduzione dell'irrigazione, adeguamento delle sistemazioni alle esigenze della meccanizzazione, realizzazione delle infrastnitture necessarie, ecc.).

I CANALI DI BONIFICA

Il drenaggio del territorio litoraneo (campagne e aree urbane) dalle acque piovane, dall'esondazione di corsi d'acqua o dal livello alto di falda freatica fa parte della bonifica idraulica.
Le opere necessarie per la bonifica idraulica sono di norma costituite da una serie di canali che attraversano il territorio convogliando le acque direttamente nel mare o nel fiume ovvero, nel caso di zone depresse (territori sotto il livello del mare) in vasche di accumulo di idrovore per il successivo scarico finale in mare.
I canali di bonifica di uno stesso territorio dal quale le acque di pioggia, defluendo naturalmente, vanno a finire nello stesso punto di convogliamento verso il mare, sono collegati tra loro in modo da costituire una rete di bonifica idraulica: quelli più piccoli confluiscono immediatamente fra di loro e si raccordano in canali di maggiore importanza che a loro volta si riversano in collettori che possono sfociare separatamente o confluire in scarichi finali.
A differenza delle reti irrigue, che sono generalmente in tubi perchè sotto pressione, le reti di bonifica idraulica sono costituite da canali a pelo libero, salvo il caso eccezionale di brevi sifoni o di brevissime condotte di mandata di impianti idrovori.
Perciò, l'andamento della rete è strettamente legato, molto più che non le reti irrigue, alla conformazione topografica del terreno (e principalmente alla sua altimetria) e dovrebbe idealmente avvicinarsi il più possibile a quella che sarebbe la rete idrografica naturale del territorio.
Per questo, l'acqua piovana o di falda, da qualunque punto dovrebbe giungere al sito di recapito finale col percorso piu naturale e più breve.
Sul litorale Metapontino coesistono diverse tipologie di reti di bonifica ma, a causa delle caratteristiche idro-geologiche del territorio, distinto in due o più aree a quote differenti, è prevalentemente utilizzato lo schema cosiddetto "a terrazza".
Ognuna di queste aree è dotata di una propria rete di bonifica:
quella delle acque alte, dopo essersi raccordata con i canali provenienti dal territorio collinare interno, scarica direttamente a mare;
quella delle acque basse, asservita al drenaggio di territori depressi, scarica in una vasca di accumulo che, tramite un impianto di sollevamento (idrovora), convoglia le acque o direttamente a mare, o nel fiume, o in altro collettore di scarico delle acque alte.

La falda

Lungo il litorale jonico, i canali di bonifica costituiscono l'unico drenaggio artificiale della falda freatica che, nel passato, ha condizionato lo sviluppo del territorio paludoso.
Gli insediamenti residenziali degli ultimi anni correrebbero un serio pericolo se venisse meno il drenaggio del territorio tramite i canali di bonifica; infatti, le forti spinte dell'acqua di falda potrebbero provocare riassetti e cedimenti nelle mura e strutture dei fabbricati se le fondazioni, come spesso avviene, non si spingano sensibilmente negli strati acquiferi o se la loro tipologia architettonica non sia progettata per sopportare le spinte idrauliche del terreno su cui è poggiato.

La vegetazione nei canali

Quello che maggiormente colpisce nell'osservare i canali di bonifica è la quantità di vegetazione che spesso impedisce il normale deflusso dell'acqua o la presenza di alghe che galleggiano su tutto lo specchio d'acqua.
Questo fenomeno, molto evidente nel caso di acque stagnanti e nelle paludi, avviene spesso anche nei canali di bonifica a causa delle acque pluviali o di irrigazione eccessiva raccolte dai terreni.
Dette acque contengono in sospensione sostanze prevalentemente sabbiose insieme a prodotti chimici usati nell'agricoltura.
La miscela favorisce la crescita di piante acquatiche che tendono a depositarsi nel fondo del canale con conseguente putrefazione e sviluppo di odori nauseabondi nocivi alla salute pubblica.
La causa del problema è imputabile alla ridotta velocità di deflusso dell'acqua per sovradimensionamento dei canali, per scarsa pendenza progettuale o per l'esistenza di ture a scopo irriguo.
È evidente, perciò, che nella costruzione dei canali di bonifica si cerchi di adottare tutte le precauzioni necessarie per evitare la sedimentazione dei solidi sospesi nelle acque torbide, rispettando nello stesso tempo le norme sull'impatto ambientale e la sicurezza sanitaria.

le idrovore

Il drenaggio delle acque dai territori depressi del litorale jonico Lucano (a quota inferiore al livello del mare) avviene tramite una rete di canali di bonifica “delle acque basse” che per avere sfogo in mare o nel fiume o in altro canale ha bisogno di riportare la quota di deflusso naturale ad un livello più alto.
Allo scopo, lungo tutto il litorale da Metaponto a Nova Siri, sono stati costruiti 9 impianti idrovori che, attraverso apposite ed idonee elettropompe, sollevano dalle vasche di raccolta l’acqua proveniente dalla rete di bonifica convogliandola in canali di scarico per il deflusso naturale in mare.

Gli impianti idrovori costituiscono la caratteristica principale delle bonifiche di territori depressi o con scarse pendenze di deflusso a mare: ad essi è affidato l’importante quanto tempestivo compito di esaurire le acque di pioggia, quelle sotterranee, quelle di esondazione dei fiumi o canali delle “acque alte” e delle mareggiate, che potrebbero impaludare il territorio servito dagli stessi impianti.

A livello strutturale l’idrovora è generalmente costituita da opere edili necessarie all’accumulo dell’acqua (vasca di accumulo), allo scarico dell’acqua sollevata (canale di scarico) e all’edificio contenente i macchinari installati allo scopo, quali: elettropompe, quadri elettrici, cabina alta tensione, gruppi elettrogeni di emergenza e installazioni varie di complemento ed accessorie.

Tutte le idrovore sono dotate di profonde vasche di arrivo dei canali che permettono di abbassare entro certi limiti “gli zeri di bonifica” e, nel caso di ampie vasche, di stabilizzare un livello e una portata di sollevamento rispondente alle caratteristiche del territorio.
Il fondo delle vasche è leggermente inclinato verso la vaschetta di aspirazione delle pompe situate sotto l’edificio.
In tal modo, nei periodi di scarsa affluenza di acqua nella vasca, se anche le acque ristagnano per breve tempo e vi lasciano dei depositi di fanghi putrescibili, questi sono rapidamente asportati non appena le pompe si rimettono in moto, evitando così di trasformare la vasca di accumulo in una vera e propria fossa settica.

Ogni idrovora ha caratteristiche proprie di funzionamento dipendenti dal territorio asservito, dall’afflusso idrico, dalla pendenza, dalla portata di deflusso che si deve assicurare nei periodi critici di maggiore piovosità.

Oltre alla portata complessiva, altro parametro fondamentale per una idrovora è la prevalenza, ovvero il salto di quota che le elettropompe devono vincere per sollevare l’acqua dal livello di drenaggio al livello di scarico a mare: anche questo parametro viene stabilito dallo studio idraulico della bonifica e, nel territorio metapontino, generalmente ha il valore di circa cinque metri.

L’idrovora è gestita automaticamente da apparecchiature elettriche che, a seconda del livello dell’acqua nella vasca di accumulo, comandano sia la messa in marcia che l’arresto delle elettropompe, programmate in base alle portate di afflusso del periodo.

Tra i vari macchinari, apparecchiature ed accessori che equipaggiano le idrovore, ricordiamo:

Le elettropompe:
Tutte le pompe installate presso le idrovore del Metapontino sono del tipo ad asse verticale e disposte in modo che la girante si trovi sempre immersa in acqua, verso il fondo della vasca di aspirazione.
L’azionamento della pompa avviene tramite un motore elettrico dalla potenza proporzionale ai parametri idraulici della pompa.
Generalmente nelle idrovore consortili sono installate pompe con portata sollevata pari a circa mille litri al secondo per uno sbalzo quota di qualche metro.

Il dispositivo di disadescamento:
Il dispositivo di disadescamento è una valvola automatica che serve ad evitare che l’acqua sollevata dalla vasca di accumulo nel canale di scarico, possa, quando si ferma il motore, ritornare indietro per effetto sifone.

La cabina elettrica:
L’energia elettrica necessaria al funzionamento dell’idrovora viene ricevuta in alta tensione a 20.000 V.
La trasformazione da 20.000 V alla tensione di 380/220 V di esercizio macchinari avviene mediante apposita cabina di trasformazione annessa al corpo principale dell’edificio idrovora.

La griglia fermaerbe:
I canali principali di bonifica convogliano verso l’idrovora con l’acqua anche alghe, rami, tavole e rifiuti, che, se penetrassero nelle pompe, ne diminuirebbero o ne annullerebbero la portata sollevata ed il funzionamento, danneggiandole fino a metterle fuori servizio.
Per evitare questi inconvenienti, le idrovore sono provviste nelle vasche di accumulo di apposite griglie fermaerbe, costruite con lame di ferro opportunamente proporzionate e collegate fra loro in modo da lasciare fra le stesse uno spazio tale da ridurre al minimo il passaggio di acqua verso la pompa.
La pulizia della griglia dal materiale trattenuto può avvenire tramite rastrelli dentati sia direttamente manovrati dall’operatore addetto all’idrovora che tramite apposito macchinario dotato di pettine a funzionamento automatico (sgrigliatore) e nastro trasportatore, per lo spostamento del materiale asportato.

Le paratoie di sezionamento:
Le vasche di accumulo sono dotate di paratoie a scorrimento in grado di chiudere l’ingresso acqua proveniente dai canali principali.
Tali paratoie sono necessarie quando, per necessità di lavori, riparazioni o pulizia vasca da depositi di fanghi, sia necessario mettere all’asciutto le vasche di accumulo. Attraverso opportune manovre sulle paratoie è possibile effettuare il lavaggio dei canali principali a ridosso dell’idrovora.

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Ultimo aggiornamento:
30-Ott-2018 16:05